la guerra in iraq
sabato, maggio 01, 2004
  la Storia siamo noi... per poco!


Marlene Dietrich

GUERRA: COSI' E' LA VITA
Questa guerra è il canto del cigno della civiltà occidentale (dire "europea" sarebbe riduttivo); dopo l'11 settembre, la cosa giusta sarebbe stata buttare fuori a calci nel posteriore TUTTI gli stranieri di QUALUNQUE provenienza, naturalizzati o no, presenti in USA e nei paesi europei, senza remore di qualsivoglia natura (diplomatica, politica, sociale, umana...). Di fatto, i cosiddetti immigrati (asilanten, sans papiers ecc.) sono i soldati di un esercito d'occupazione senza divisa ma non per questo meno strutturato e determinato, tanto più forte in quanto può contare sull'incondizionato appoggio economico e logistico delle amministrazioni dei paesi occupati. Essi colmano i vuoti prodotti con pervicacia nella popolazione indigena dalla classe dirigente (quella vera!) nel corso degli ultimi sessant'anni.


Theda Bara

VUOTI A PERDERE
Si può ipotizzare che alla vigilia del 2° conflitto mondiale la popolazione o meglio le popolazioni fossero sostanzialmente quelle originarie (l'aggettivo necessiterebbe di qualche precisazione, per non sminuire né tanto né poco la portata dei massacri del 1° conflitto; inoltre sarebbe necessario spulciare le anagrafi dei comuni, per vedere oltre il pelo dell'acqua; tuttavia sarebbe già un passo avanti poter consultare la collezione dei vecchi elenchi telefonici), fatti salvi un tasso fisiologico di mobilità per lo più provinciale e un ragionevole dubbio a fronte di opinioni personali non supportate da fonti attendibili; a questa categoria, sia detto per inciso, appartiene per intiero il mio blog. Le deportazioni e il conflitto produssero i primi vuoti; tanti piccoli mondi furono irreparabilmente estinti come se non fossero mai esistiti ed era soltanto l'inizio. Oggi, l'antisemitismo sembra piuttosto una copertura che una motivazione reale di eventi così colossali. Tatticamente fu colpita per prima la componente più cosmopolita e quindi più avveduta delle varie popolazioni; il "resto" sarebbe venuto a conflitto terminato, in sordina.
Un altro inciso: uso la parola "popolazione" per indicare qualsiasi gruppo omogeneo per territorio e DNA; comunque, "popolazione" o "popolo" che dir si voglia, la scala di riferimento può essere indifferentemente regionale, internazionale, parrocchiale o nazionale.
La Liberazione portò altri massacri complementari ai precedenti ma con la Ricostruzione avvenne il salto di qualità: massicce migrazioni interne ed esterne cambiarono la fisionomia dell'Italia e non solo; i principali attori in questo teatro furono il CAPITALE, il MIMETISMO e il BANDITISMO.


Theda Bara

IL PELO DELL'ACQUA
"Non è vero, signori miei, che c'è una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio de' dieci comandamenti, e vanno a cercar la gente quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi hanno sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una più grossa del solito, camminano con la testa più alta, che par che gli s'abbia a rifare il resto? (...)
Mettiamo, per esempio, che qualcheduno di costoro che voglio dir io stia un po' in campagna, un po' in Milano: se è un diavolo là, non vorrà esser un angiolo qui; mi pare. (...)
Si vede dunque chiaramente che il re, e quelli che comandano, vorrebbero che i birboni fossero gastigati; ma non se ne fa nulla, perché c'è una LEGA."

Il carattere maiuscolo di "lega" è mio, tutto il resto compete al Manzoni (I Promessi Sposi, commento critico di Luigi Russo, La Nuova Italia, cap. XIV, 45-70). Renzo fa politica dei casi suoi con scarsa presa su un uditorio reduce da ben altri avvenimenti (gli assalti al forno delle grucce, alla casa del vicario di provvisione ecc.) oppure Renzo suscita nell'uditorio un'omertosa diffidenza toccando un punto decisamente sensibile: quale delle due? Ma vediamo il battibecco con l'oste della Luna Piena (cap. XV, 35-45):

"ditemi il vostro nome, e... e poi andate a letto col cuor quieto."
"Ah, birbone!" esclamò Renzo: "mariolo! tu mi torni ancora in campo con quell'infamità del nome, cognome e negozio!"
"Sta zitto, buffone; va a letto," diceva l'oste.
Ma Renzo continuava più forte: "ho inteso: sei della LEGA anche tu. Aspetta, aspetta, che t'accomodo io." E voltando la testa verso la scaletta, cominciava a urlare più forte ancora: "amici! l'oste è della..."
"Ho detto per celia," gridò questo sul viso di Renzo, spingendolo verso il letto: "per celia; non hai inteso che ho detto per celia?"

Possiamo ben credere che l'oste abbia scherzato: lo dice tre volte, col fare deciso di chi debba sventare un improvviso e grave pericolo, costi quel che costi. I vaneggiamenti di un montanaro ubriaco urtano la sua suscettibilità oppure la cosiddetta lega esiste davvero? Se esistesse, dovrebbe annoverare nelle proprie file personaggi d'estrazione sociale molto diversa ("un po' in campagna, un po' in Milano"), tanto da far temere anche ad un oste le possibili conseguenze d'una simile accusa. L'oste si accinge quindi a denunciare la presenza dell'anonimo straniero al capitano di giustizia (cap. XV, 100-120):

- Testardo d'un montanaro! - Ché, per quanto Renzo avesse voluto tener nascosto l'esser suo, questa qualità si manifestava da sé, nelle parole, nella pronunzia, nell'aspetto e negli atti. - Una giornata come questa, a forza di politica, a forza d'aver giudizio, io n'uscivo netto; e dovevi venir tu sulla fine, a guastarmi l'uova nel paniere. Manca osterie in Milano, che tu dovessi proprio capitare alla mia? Fossi almeno capitato solo; che avrei chiuso un occhio, per questa sera; e domattina t'avrei fatto intender la ragione. Ma no signore; in compagnia ci vieni; e in compagnia d'un bargello, per far meglio! (...) E tu, pezzo d'asino, per aver visto un po' di gente in giro a far baccano, ti sei cacciato in testa che il mondo abbia a mutarsi. E su questo bel fondamento, ti sei rovinato te, e volevi anche rovinar me; che non è giusto. Io facevo di tutto per salvarti; e tu, bestia, in contraccambio, c'è mancato poco che non m'hai messo sottosopra l'osteria.

A questo punto un illustre sconosciuto vorrebbe rivolgere una domanda a Umberto Bossi, unitamente ai migliori auguri di una pronta guarigione: Senatore, doveva proprio chiamarlo "Lega" il Suo partito?
Prosegue l'oste (cap. XV, 120-125):

Lo so anch'io che ci son delle gride che non contan nulla; bella novità, da venircela a dire un montanaro! Ma tu non sai che le gride contro gli osti contano. E pretendi girare il mondo, e parlare; e non sai che, a voler fare a modo suo, e impiparsi delle gride, la prima cosa è di parlarne con gran riguardo.

Perché ci fanno leggere I Promessi Sposi a quindici anni? Per la gioventù di poco sale, dovrebbero renderne obbligatoria la lettura dai quaranta in poi!
Taluni definiscono l'oste un informatore della polizia ma non c'è traccia in tutto l'episodio di questa occulta complicità. Torniamo all'inizio (cap. XIV, 150-200):

Vista ch'ebbe la guida, - maledetto! - disse tra sé: - che tu m'abbia a venir sempre tra' piedi, quando meno ti vorrei! (...)
"Preparate un buon letto a questo bravo giovine," disse la guida: "perché ha intenzione di dormir qui."
"Volete dormir qui?" domandò l'oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.

Renzo non vuol dichiarare le proprie generalità; inizia il tira e molla (cap. XIV, 210-265):

"Io fo il mio dovere," disse l'oste, guardando in viso alla guida (...)
"Dico davvero," disse l'oste, sempre guardando il muto compagno di Renzo (...)
L'oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorta veruna (...)
"Cosa devo fare?" disse l'oste, guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui (...)
In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste un'occhiata di rimprovero, per quell'interrogazione troppo scoperta, disse: "lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate scene."
"Ho fatto il mio dovere," disse l'oste, forte; e poi tra sé: - ora HO LE SPALLE AL MURO (...) Altro che lepre! - pensava, istoriando di nuovo la cenere: - e in che mani sei capitato! Pezzo d'asino! se vuoi affogare, affoga; ma l'oste della luna piena non deve andarne di mezzo, per le tue pazzie. -

Renzo si sarebbe potuto facilmente accorgere di tutta questa ammuina, se non fosse stato già ubriaco di parole e di vino. Quanto all'oste (cap. XV, 125-130):

E per un povero oste che fosse del tuo parere, e non domandasse il nome di chi capita a favorirlo, sai tu, bestia, cosa c'è di bello? (...) trecento scudi (...) da essere applicati, per i due terzi alla regia Camera, e l'altro all'accusatore o delatore: quel bel cecino!

se non avesse denunciato formalmente Renzo, egli avrebbe dovuto pagare un'ammenda di trecento scudi, cento dei quali sarebbero finiti nelle tasche del notaio criminale improvvisatosi guida ("quel bel cecino!"), nonostante le domande implicite ed esplicite rivoltegli circa il da farsi. Non è precisamente la condizione di un delatore, abituale o no, ma di un accusatore per dovere. E' quasi banale citare la famosa raffica di battute pronte per l'uso (ma parlano proprio così!) opposta al notaio criminale (cap. XV, 160-220); di sicuro, questa non ci rimanda tanto alla difesa del "particulare" di guicciardiniana memoria quanto alla domanda che tutti ci poniamo leggendo: nella catena alimentare, chi dei due occupa il posto più alto, il notaio criminale o l'oste?
- "Cosa devo dire di più?"
- "Cosa ho da provare io? io non c'entro: io fo l'oste."
- "Io devo attendere a' miei interessi, che sono un pover'uomo."
- "Io non credo nulla."
- "Oh giusto!"
- "Lor signori hanno la forza: a lor signori tocca."
- "Io ho sempre avuto giudizio."
- "Io? per carità! io non credo nulla: abbado a far l'oste."
- "Che ho da dire altro? La verità è una sola."
- "Cosa ho da informare? io non so nulla; appena appena ho la testa da attendere ai fatti miei."
- "Spero che l'illustrissimo signor capitano saprà che son venuto subito a fare il mio dovere."
Domande retoriche, autoaffermazioni e luoghi comuni che insieme alle raccomandazioni fatte alla moglie prima di uscire ("e già sai anche tu che qualche volta quelli che le dicon più grosse... Basta; quando si senton certe proposizioni, girar la testa, e dire: vengo; come se qualcheduno chiamasse da un'altra parte", cap. XV, 90-95) completano la mappa ideale del suo codice di comportamento. Qual è allora la differenza fra il nostro e un qualsiasi altro oste timorato della legge? Mi sfugge ( "Che devo fare il birro io? - pensò l'oste; ma non disse né sì né no"), purtroppo! E' una PRESENZA NUOVA per il Manzoni, il quale come tutti gli autori -non importa se di romanzi, poesie o trattati di meccanica quantistica- tende naturalmente a parlare del proprio mondo, INDEFINITA e senz'altro INQUIETANTE. Accomiatiamoci dal nostro (?!) mentre osserva Renzo addormentato (cap. XV, 70-75):

si fermò un momento a contemplare l'ospite così noioso per lui, alzandogli il lume sul viso e facendovi, con la mano stesa, ribatter sopra la luce; in quell'atto a un di presso che vien dipinta Psiche, quando sta a spiare furtivamente le forme del consorte sconosciuto. "Pezzo d'asino!" disse nella sua mente al povero addormentato: "sei andato proprio a cercartela. Domani poi, mi saprai dire che bel gusto ci avrai. Tangheri, che volete girare il mondo, senza saper da che parte si levi il sole; per imbrogliar voi e il prossimo."

Mi piace accostare visivamente questo quadro alla chiusa del cap. I (485- ) su don Abbondio:

"Mandi almen giù quest'altro gocciolo," disse Perpetua, mescendo. "Lei sa che questo le rimette sempre lo stomaco."
"Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro."
Così dicendo, prese il lume, e, brontolando sempre: "una piccola bagattella! a un galantuomo par mio! e domani com'andrà?" e altre simili lamentazioni, s'avviò per salire in camera. Giunto su la soglia, si voltò indietro verso Perpetua, mise il dito sulla bocca, disse, con tono lento e solenne: "per amor del cielo!" e disparve.

Genti occhiute, le une, genti nei ferri dell'omertà, le altre... pressappoco.

SAI CHE C'E' DI NUOVO?
Non posso non citare I Sotterranei del Vaticano (1914) di A. Gide. Mi limiterò a trascrivere l'episodio forse più paradigmatico, dal "Libro quinto. Lafcadio", capitolo quinto:

"Non sarebbe bene piantare in asso un amico, signor Lafcadio nonsisapiùki! Ma come? E' proprio vero! Lei vorrebbe squagliarsela?".
Del funambolesco professore ubriaco di poco prima, non restava più niente in quel pezzo d'uomo apro e protervo nel quale Lafcadio non esitò più a riconoscere Protos. Un Protos ingrandito, allargato, magnificato e che s'annunciava temibile.
"Ah! è lei Protos", disse semplicemente, "lo preferisco. Non sarei mai riuscito a riconoscerla."
Perché per quanto terribile fosse la realtà, Lafcadio, la preferiva all'assurdo incubo nel quale si dibatteva da circa un'ora.
"Non ci stavo male truccato, vero? Per lei mi sono messo in ghingheri ma sarebbe meglio credo che gli occhiali li portasse lei, giovanotto; finirà per dover sopportare scherzi malvagi se non riconoscerà un po' meglio i SOTTILI."
Quanti ricordi mal sopiti, la parola SOTTILE risvegliò nella memoria di Cadio. Un sottile nel gergo di cui lui e Protos si servivano al tempo in cui si trovavano insieme nello stesso pensionato, un sottile era un uomo che per un motivo o per l'altro non mostrava a tutti e in tutti i luoghi lo stesso volto.
C'erano nelle loro classificazioni molte categorie di sottili, più o meno eleganti e lodevoli, alle quali corrispondeva e s'opponeva l'unica grande famiglia dei CROSTACEI. E i rappresentanti di questi si pavoneggiavano su ogni gradino della scala sociale. I nostri due amici tenevano per assodati questi assiomi:
1. i SOTTILI si riconoscono fra di loro;
2. i CROSTACEI non riconoscono i sottili.

LA COSA
Se, a Milano, Renzo aveva catturato l'attenzione degli sbirri, da chi dovrà guardarsi passando fuggiasco (cap. XVI, 180-210) da Gorgonzola?

L'oste rispose a Renzo, che sarebbe servito; e questo si mise a sedere in fondo della tavola, vicino all'uscio: il posto de' vergognosi.
C'erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i quali, dopo aver discusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno avanti, si struggevano di sapere un poco come fosse andata anche in quel giorno (...) Un di coloro si staccò dalla brigata, s'accostò al soprarrivato, e gli domandò se veniva da Milano.
"Io?" disse Renzo sorpreso, per prender tempo a rispondere.
"Voi, se la domanda è lecita."
Renzo, tentennando il capo, stringendo le labbra, e facendone uscire un suono inarticolato, disse: "Milano, da quel che ho sentito dire... non dev'essere un luogo da andarci in questi momenti, meno che per una gran necessità."
"Continua dunque anche oggi il fracasso?" domandò, con più istanza, il curioso.
"Bisognerebbe esser là, per saperlo," disse Renzo.
"Ma voi, non venite da Milano?"
"Vengo da Liscate," rispose lesto il giovine, che intanto aveva pensata la sua risposta (...)
"Oh!" disse l'amico; come se volesse dire: faresti meglio a venir da Milano, ma pazienza. "E a Liscate," soggiunse, "non si sapeva niente di Milano?"
"Potrebb'essere benissimo che qualcheduno là sapesse qualche cosa," rispose il montanaro: "ma io non ho sentito dir nulla."

Renzo domanda all'oste quanta strada ci sia, ancora, per arrivare all'Adda (cap. XVI, 210-230):

"All'Adda, per passare?" disse l'oste.
"Cioè... sì... all'Adda."
"Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di Canonica?"
"Dove si sia... Domando così per curiosità."
"Eh, volevo dire, perché quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che può dar conto di sé."
"Va bene: e quanto c'è?"
"Fate conto che, tanto a un luogo, come all'altro, poco più, poco meno, ci sarà sei miglia."
"Sei miglia! non credevo tanto," disse Renzo. "E già," riprese poi, con un'aria d'indifferenza, portata fino all'affettazione: "e già, chi avesse bisogno di prendere una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare?"
"Ce n'è di sicuro," rispose l'oste, ficcandogli in viso due occhi pieni d'una curiosità maliziosa (...)

I RAGAZZI DEL CORO attaccano intanto il copione bocche-aperte-per-far-aprir-bocca (cap. XVI, 235-255):

"Ma!" diceva uno: "questa volta par proprio che i milanesi abbian voluto far davvero. Basta; domani al più tardi, si saprà qualcosa."
"Mi pento di non esser andato a Milano stamattina," diceva un altro.
"Se vai domani, vengo anch'io," disse un terzo; poi un altro, poi un altro.
"Quel che vorrei sapere," riprese il primo, "è se que' signori di Milano penseranno anche alla povera gente di campagna, o se faranno far la legge buona solamente per loro. Sapete come sono eh? Cittadini superbi, tutto per loro: gli altri, come se non ci fossero."
"La bocca l'abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per dir la nostra ragione," disse un altro, con voce tanto più modesta, quanto più la proposizione era avanzata: "e quando la cosa sia incamminata..." Ma credette meglio di non finir la frase.
"Del grano nascosto, non ce n'è solamente in Milano," cominciava un altro, con un'aria cupa e maliziosa; quando sentono avvicinarsi un cavallo.

che viene interrotto dall'arrivo di un cliente abituale, il mercante il quale, "siccome ci trovava quasi sempre la stessa compagnia, li conosceva tutti". Vorrei ora rammentare un'altra osteria, quella del paese di Renzo che il Manzoni ci ha mostrato nei preparativi del matrimonio a sorpresa. 
quale utilità? per chi? chi vince?

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