la guerra in iraq
sabato, ottobre 04, 2008
  Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza (...) Il pericolo vero sta nell'uomo... http://foto.girlpower.it/files/skins/cool_blue/images/pixel.gif

twin towers

VISITA DEL SOMMO PONTEFICE PAOLO VI ALL'ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE

DISCORSO DEL SANTO PADRE ALLE NAZIONI UNITE

Lunedì, 4 ottobre 1965



Nel momento in cui prendiamo la parola davanti a questo consesso unico al mondo, sentiamo il bisogno anzitutto di esprimere la Nostra profonda gratitudine al Signor Thant, vostro Segretario Generale, per l'invito ch'egli Ci ha rivolto di visitare le Nazioni Unite, in occasione del ventesimo anniversario della fondazione di questa Istituzione mondiale per la pace e per la collaborazione fra i popoli di tutta la terra. Noi ringraziamo altresì il Signor Presidente dell'Assemblea, On. Amintore Fanfani, il quale, dal giorno del suo insediamento, ha avuto per Noi parole tanto cortesi.

Grazie anche a voi tutti, qui presenti, per la vostra buona accoglienza.

A ciascuno di voi il Nostro riverente e cordiale saluto. La vostra amicizia Ci ha invitati e Ci ammette ora a questa riunione: e come amici Noi qui a voi Ci presentiamo.

Vi esprimiamo il Nostro cordiale omaggio personale e vi offriamo quello dell'intero Concilio Ecumenico Vaticano II, riunito in Roma, e qui rappresentato dai Signori Cardinali che a questo scopo Ci accompagnano. A loro nome, come da parte Nostra, rendiamo a voi tutti onore e vi salutiamo!

Questo incontro, voi tutti lo comprendete, segna un momento semplice e grande. Semplice, perché voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro fratello, e fra voi, rappresentanti di Stati sovrani, uno dei più piccoli, rivestito lui pure, se così vi piace considerarci, d'una minuscola, quasi simbolica sovranità temporale, quanta gli basta per essere libero di esercitare la sua missione spirituale, e per assicurare chiunque tratta con lui, che egli è indipendente da ogni sovranità di questo mondo. Egli non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere con voi; non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere, nessuna questione da sollevare; se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di potervi servire in ciò che a Noi è dato di fare, con disinteresse, con umiltà e amore.

DA VENTI SECOLI UN VOTO DEL CUORE

Questa è la Nostra prima dichiarazione; e, come voi vedete, essa è così semplice, che sembra irrilevante per questa Assemblea, che tratta sempre cose importantissime e difficilissime. Ma Noi dicevamo, e tutti lo avvertite, che questo momento è anche grande. Grande per Noi, grande per voi.

Per Noi, anzitutto. Oh! voi sapete chi siamo; e, qualunque sia l'opinione che voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la Nostra missione; siamo portatori d'un messaggio per tutta l'umanità; e lo siamo non solo a Nostro nome personale e dell'intera famiglia cattolica, ma lo siamo pure di quei Fratelli cristiani, che condividono i sentimenti da Noi qui espressi, e specialmente di quelli da cui abbiamo avuto esplicito incarico d'essere anche loro interpreti. Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata; così Noi avvertiamo la fortuna di questo, sia pur breve, momento, in cui si adempie un voto, che Noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino, e portiamo con Noi una lunga storia; Noi celebriamo qui l'epilogo d'un faticoso pellegrinaggio in cerca d'un colloquio con il mondo intero, da quando Ci è stato comandato: "Andate e portate la buona novella a tutte le genti".

Ora siete voi, che rappresentate tutte le genti. Noi abbiamo per voi tutti un messaggio, sì, un messaggio felice, da consegnare a ciascuno di voi.

IN NOME DEI MORTI DEI POVERI DEI SOFFERENTI

1. Il Nostro messaggio vuol essere, in primo luogo, una ratifica morale e solenne di questa altissima Istituzione. Questo messaggio viene dalla Nostra esperienza storica; Noi, quali "esperti in umanità", rechiamo a questa Organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi Predecessori, quello di tutto l'Episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale.

Dicendo questo, Noi sentiamo di fare Nostra la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle; e di altri vivi ancora, che avanzano nuovi e fidenti, i giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità. E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso. I popoli considerano le Nazioni Unite come il palladio della concordia e della pace; Noi osiamo, col Nostro, portare qua il loro tributo di onore e di speranza. Ecco perché questo momento è grande anche per voi.

GIUSTIZIA DIRITTO TRATTATIVA NELLE RELAZIONI TRA I POPOLI

2. Noi sappiamo che ne avete piena coscienza. Ascoltate allora la continuazione del Nostro messaggio. Esso è rivolto completamente verso l'avvenire: l'edificio, che avete costruito, non deve mai più decadere, ma deve essere perfezionato e adeguato alle esigenze che la storia del mondo presenterà. Voi segnate una tappa nello sviluppo dell'umanità, dalla quale non si dovrà più retrocedere, ma avanzare.

Al pluralismo degli Stati, che non possono più ignorarsi, voi offrite una formola di convivenza, estremamente semplice e feconda. Ecco: voi dapprima vi riconoscete e distinguete gli uni dagli altri. Voi non conferite certamente l'esistenza agli Stati; ma qualificate come idonea a sedere nel consesso ordinato dei Popoli ogni singola Nazione; date cioè un riconoscimento di altissimo valore etico e giuridico ad ogni singola comunità nazionale sovrana, e le garantite onorata cittadinanza internazionale. È già un grande servizio alla causa dell'umanità quello di ben definire e di onorare i soggetti nazionali della comunità mondiale, e di classificarli in una condizione di diritto, meritevole d'essere da tutti riconosciuta e rispettata, dalla quale può derivare un sistema ordinato e stabile di vita internazionale. Voi sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura, né dall'inganno.

Così ha da essere. Lasciate che Noi Ci congratuliamo con voi, che avete avuto la saggezza di aprire l'accesso a questa aula ai Popoli giovani, agli Stati giunti da poco alla indipendenza e alla libertà nazionale; la loro presenza è la prova dell'universalità e della magnanimità che ispirano i principii di questa Istituzione.

Così ha da essere; questo è il Nostro elogio e il Nostro augurio, e, come vedete, Noi non li attribuiamo dal di fuori; ma li caviamo dal di dentro, dal genio stesso del vostro Statuto.

GENEROSA FIDUCIA GIAMMAI INSIDIATA O TRADITA

3. Il vostro Statuto va oltre; e con esso procede il Nostro augurio.

Voi esistete ed operate per unire le Nazioni, per collegare gli Stati; diciamo questa seconda formola: per mettere insieme gli uni con gli altri. Siete una Associazione. Siete un ponte fra i Popoli. Siete una rete di rapporti fra gli Stati. Staremmo per dire che la vostra caratteristica riflette in qualche modo nel campo temporale ciò che la Nostra Chiesa cattolica vuol essere nel campo spirituale: unica ed universale. Non v'è nulla di superiore sul piano naturale nella costruzione ideologica dell'umanità. La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i Popoli. Difficile impresa? Senza dubbio. Ma questa è l'impresa; questa la vostra nobilissima impresa. Chi non vede il bisogno di giungere così, progressivamente, a instaurare un'autorità mondiale, capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico?

Anche a questo riguardo ripetiamo il Nostro voto: perseverate. Diremo di più: procurate di richiamare fra voi chi da voi si fosse staccato, e studiate il modo per chiamare, con onore e con lealtà, al vostro patto di fratellanza chi ancora non lo condivide. Fate che chi ancora è rimasto fuori desideri e meriti la comune fiducia; e poi siate generosi nell'accordarla. E voi, che avete la fortuna e l'onore di sedere in questo consesso della pacifica convivenza, ascoltateci: fate che non mai la reciproca fiducia, che qui vi unisce e vi consente di operare cose buone e grandi. sia insidiata o tradita.

L'ORGOGLIO IL GRANDE ANTAGONISTA DELLE NECESSARIE ARMONIE

4. La logica di questo voto, che si può dire costituzionale per la vostra Organizzazione, Ci porta a integrarlo con altre formole. Ecco: che nessuno, in quanto membro della vostra unione, sia superiore agli altri. Non l'uno sopra l'altro. È la formola della eguaglianza. Sappiamo di certo come essa debba essere integrata dalla valutazione di altri fattori, che non sia la semplice appartenenza a questa Istituzione; ma anch'essa è costituzionale. Voi non siete eguali, ma qui vi fate eguali. Può essere per parecchi di voi atto di grande virtù; consentite che ve lo dica Colui che vi parla, il Rappresentante d'una Religione, la quale opera la salvezza mediante l'umiltà del suo Fondatore Divino. Non si può essere fratelli, se non si è umili. Ed è l'orgoglio, per inevitabile che possa sembrare. che provoca le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo dell'egoismo; rompe cioè la fratellanza.

CADANO LE ARMI, SI COSTRUISCA LA PACE TOTALE

5. E allora il Nostro messaggio raggiunge il suo vertice; il vertice negativo. Voi attendete da Noi questa parola, che non può svestirsi di gravità e di solennità: non gli uni contro gli altri, non più, non mai! A questo scopo principalmente è sorta l'Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e per la pace ! Ascoltate le chiare parole d'un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: "L'umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all'umanità". Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità!

Grazie a voi, gloria a voi, che da vent'anni per la pace lavorate, e che avete perfino dato illustri vittime a questa santa causa. Grazie a voi, e gloria a voi, per i conflitti che avete prevenuti e composti. I risultati dei vostri sforzi, conseguiti in questi ultimi giorni in favore della pace, benché, non siano ancora definitivi, meritano che Noi, osando farci interpreti del mondo intero, vi esprimiamo plauso e gratitudine.

Signori, voi avete compiuto e state compiendo un'opera grande: l'educazione dell'umanità alla pace. L'ONU è la grande scuola per questa educazione. Siamo nell'aula magna di tale scuola; chi siede in questa aula diventa alunno e diventa maestro nell'arte di costruire la pace. Quando voi uscite da questa aula il mondo guarda a voi come agli architetti, ai costruttori della pace.

E voi sapete che la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l'equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere della pace. Voi già lavorate in questo senso. Ma voi siete ancora in principio: arriverà mai il mondo a cambiare la mentalità particolaristica e bellicosa, che finora ha tessuto tanta parte della sua storia? È difficile prevedere; ma è facile affermare che alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volontà, bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie sono già segnate davanti a voi; e la prima è quella del disarmo.

Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili. specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli. Finché l'uomo rimane l'essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi, coraggiosi e valenti quali siete, state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale senza ricorso alle armi: questo è nobilissimo scopo, questo i Popoli attendono da voi, questo si deve ottenere! Cresca la fiducia unanime in questa Istituzione, cresca la sua autorità; e lo scopo, è sperabile, sarà raggiunto. Ve ne saranno riconoscenti le popolazioni, sollevate dalle pesanti spese degli armamenti, e liberate dall'incubo della guerra sempre imminente, il quale deforma la loro psicologia. Noi godiamo di sapere che molti di voi hanno considerato con favore il Nostro invito, lanciato a tutti gli Stati per la causa della pace, a Bombay, nello scorso dicembre, di devolvere a beneficio dei Paesi in via di sviluppo una parte almeno delle economie, che si possono realizzare con la riduzione degli armamenti. Noi rinnoviamo qui tale invito, fidando nel vostro sentimento di umanità e di generosità.

OLTRE LA COESISTENZA: LA COLLABORAZIONE FRATERNA

6. Dicendo queste parole Ci accorgiamo di far eco ad un altro principio costitutivo di questo Organismo, cioè il suo vertice positivo: non solo qui si lavora per scongiurare i conflitti fra gli Stati, ma si lavora altresì con fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri. Voi non vi contentate di facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie Nazioni; ma fate un passo molto più avanti, al quale Noi diamo la Nostra lode e il Nostro appoggio: voi promovete la collaborazione fraterna dei Popoli. Qui si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili altissime ottengono l'appoggio concorde e ordinato di tutta la famiglia dei Popoli per il bene comune, e per il bene dei singoli. Questo aspetto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite è il più bello: è il suo volto umano più autentico; è l'ideale dell'umanità pellegrina nel tempo; è la speranza migliore del mondo; è il riflesso, osiamo dire, del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra; un riflesso, dove scorgiamo il messaggio evangelico da celeste farsi terrestre. Qui, infatti, Noi ascoltiamo un'eco della voce dei Nostri Predecessori, di quella specialmente di Papa Giovanni XXIII, il cui messaggio della Pacem in terris ha avuto anche nelle vostre sfere una risonanza tanto onorifica e significativa.

Perché voi qui proclamate i diritti e i doveri fondamentali dell'uomo, la sua dignità, la sua libertà e, per prima, la libertà religiosa. Ancora, Noi sentiamo interpretata la sfera superiore della sapienza umana, e aggiungiamo: la sua sacralità. Perché si tratta anzitutto della vita dell'uomo: e la vita dell'uomo è sacra: nessuno può osare di offenderla. Il rispetto alla vita, anche per ciò che riguarda il grande problema della natalità, deve avere qui la sua più alta professione e la sua più ragionevole difesa: voi dovete procurare di far abbondare quanto basti il pane per la mensa dell'umanità; non già favorire un artificiale controllo delle nascite, che sarebbe irrazionale, per diminuire il numero dei commensali al banchetto della vita.

Ma non si tratta soltanto di nutrire gli affamati: bisogna inoltre assicurare a ciascun uomo una vita conforme alla sua dignità. Ed è questo che voi vi sforzate di fare. E non si adempie del resto sotto i Nostri occhi e anche per opera vostra l'annuncio profetico che ben si addice a questa Istituzione: "Fonderanno le spade in vomeri; le lance in falci"? (Is. 2, 4). Non state voi impiegando le prodigiose energie della terra e le invenzioni magnifiche della scienza, non più in strumenti di morte, ma in strumenti di vita per la nuova era dell'umanità?

Noi sappiamo con quale crescente intensità ed efficacia l'Organizzazione delle Nazioni Unite, e gli organismi mondiali che ne dipendono, lavorino per fornire aiuto ai Governi, che ne abbiano bisogno, al fine di accelerare il loro progresso economico e sociale.

Noi sappiamo con quale ardore voi vi impegniate a vincere l'analfabetismo e a diffondere la cultura nel mondo; a dare agli uomini una adeguata e moderna assistenza sanitaria, a mettere a servizio dell'uomo le meravigliose risorse della scienza, della tecnica, dell'organizzazione: tutto questo è magnifico, e merita l'encomio e l'appoggio di tutti, anche il Nostro. Vorremmo anche Noi dare l'esempio, sebbene l'esiguità dei Nostri mezzi ci impedisca di farne apprezzare la rilevanza pratica e quantitativa: Noi vogliamo dare alle Nostre istituzioni caritative un nuovo sviluppo in favore della fame e dei bisogni del mondo: è in questo modo, e non altrimenti, che si costruisce la pace.

PER SALVARE LA CIVILTÀ PROFONDO RINNOVAMENTO IN DIO

7. Una parola ancora, Signori, un'ultima parola: questo edificio, che state costruendo, si regge non già solo su basi materiali e terrene: sarebbe un edificio costruito sulla sabbia; ma esso si regge, innanzitutto, sopra le nostre coscienze. È venuto il momento della "metanoia", della trasformazione personale, del rinnovamento interiore. Dobbiamo abituarci a pensare in maniera nuova l'uomo; in maniera nuova la convivenza dell'umanità, in maniera nuova le vie della storia e i destini del mondo, secondo le parole di S. Paolo: "Rivestire l'uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia e santità della verità" (Eph. 4, 23). È l'ora in cui si impone una sosta, un momento di raccoglimento, di ripensamento, quasi di preghiera: ripensare, cioè, alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune. Mai come oggi, in un'epoca di tanto progresso umano, si è reso necessario l'appello alla coscienza morale dell'uomo!

Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l'umanità. Il pericolo vero sta nell'uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina ed alle più alte conquiste!

In una parola, l'edificio della moderna civiltà deve reggersi su principii spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principii di superiore sapienza, essi non possono non fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell'areopago S. Paolo agli Ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo?... Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la Rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini.

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Come sono belli sulle montagne
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
che reca una buona notizia,
che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: "Il tuo Dio regna"!

ISAIA 52, 7

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venerdì, maggio 09, 2008
  Scellerati! http://foto.girlpower.it/files/skins/cool_blue/images/pixel.gif

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Di cosa vi fate vanto? Scellerati! Dove credete di andare, armati come assassini?

Non c'è bisogno delle vostre armi per sterminare i popoli di questo mondo. Ponete ascolto, dementi! Il castigo di Dio è ben più potente di tutte le vostre spade!

La vera ricchezza non è di questo mondo...

Voi non siete che ombre, vuoti simulacri!

IL MESTIERE DELLE ARMI di Ermanno Olmi

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BRUTUS
Be patient till the last.
Romans, countrymen, and lovers! hear me for my
cause, and be silent, that you may hear: believe me
for mine honour, and have respect to mine honour, that
you may believe: censure me in your wisdom, and
awake your senses, that you may the better judge.
If there be any in this assembly, any dear friend of
Caesar's, to him I say, that Brutus' love to Caesar
was no less than his. If then that friend demand
why Brutus rose against Caesar, this is my answer:
--Not that I loved Caesar less, but that I loved
Rome more. Had you rather Caesar were living and
die all slaves, than that Caesar were dead, to live
all free men? As Caesar loved me, I weep for him;
as he was fortunate, I rejoice at it; as he was
valiant, I honour him: but, as he was ambitious, I
slew him. There is tears for his love; joy for his
fortune; honour for his valour; and death for his
ambition. Who is here so base that would be a
bondman? If any, speak; for him have I offended.
Who is here so rude that would not be a Roman? If
any, speak; for him have I offended. Who is here so
vile that will not love his country? If any, speak;
for him have I offended. I pause for a reply.

JULIUS CAESAR (Act 3, Scene 2) by William Shakespeare

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Nella loro malvagità rallegrano il re,
nella loro perfidia i capi.
Sono tutti affannati;
sono riscaldati come un forno
che il fornaio cessa di attizzare
quando si impasta e fin che non lievita.
Snervano il loro re, i prìncipi con i fumi del vino;
egli dà la sua mano agli scellerati.
Si appressano i congiurati, il loro cuore è come un forno:
tutta la notte è quieto il loro furore,
al mattino si accende come una fiamma ardente;
sono tutti riscaldati come un forno, divorano i loro giudici.

OSEA (VII 3-7)

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La morte è già salita alle nostre finestre,
è entrata nei nostri palazzi,
distruggendo l'infanzia sulla strada,
i giovani sulle piazze.
Parla! Tale è l'oracolo del Signore:
Il cadavere dell'uomo giace come letame sulla superficie del campo
e come mannelli dietro il mietitore e nessuno raccoglie!

GEREMIA (IX 20-21)

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  XXX http://foto.girlpower.it/files/skins/cool_blue/images/pixel.gif

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9 maggio 1978

Aldo Moro
__________________________________
Vogliatemi bene quando sarò morto

IL MESTIERE DELLE ARMI di Ermanno Olmi 
domenica, marzo 16, 2008
  E tu, Cielo... http://foto.girlpower.it/files/skins/cool_blue/images/pixel.gif

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San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

(Giovanni Pascoli, X Agosto)

Vajont
Vajont (1963)

Dal frutto infatti si conosce l'albero.

MATTEO (XII 33)


...un pesante ricatto nei confronti della classe politica repubblicana, messo in opera da una masnada senza bandiera e senza volto: la strage...

Santa Croce
Firenze (1966)

...la strage, se non fosse stata promulgata sollecitamente una legge necessaria all'avvio della realizzazione di un progetto inaudito (?!) che, parafrasando una logora etichetta di allora ("università di massa"), si sarebbe potuto chiamare -col senno del poi!- "italia di massa".

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LEGGE 11 DICEMBRE 1969, n. 910 (GU n. 314 del 13/12/1969)
PROVVEDIMENTI URGENTI PER L'UNIVERSITÀ. (PUBBLICATA NELLA GAZZETTA UFFICIALE N.314 DEL 13 DICEMBRE 1969)

LA CAMERA DEI DEPUTATI ED IL SENATO DELLA REPUBBLICA HANNO APPROVATO;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
PROMULGA
LA SEGUENTE LEGGE:

ART. 1.

FINO ALL'ATTUAZIONE DELLA RIFORMA UNIVERSITARIA POSSONO ISCRIVERSI A QUALSIASI CORSO DI LAUREA: A) I DIPLOMATI DEGLI ISTITUTI DI ISTRUZIONE SECONDARIA DI SECONDO GRADO DI DURATA QUINQUENNALE, IVI COMPRESI I LICEI LINGUISTICI RICONOSCIUTI PER LEGGE, E COLORO CHE ABBIANO SUPERATO I CORSI INTEGRATIVI PREVISTI DALLA LEGGE CHE NE AUTORIZZA LA SPERIMENTAZIONE NEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI; B) I DIPLOMATI DEGLI ISTITUTI MAGISTRALI E DEI LICEI ARTISTICI CHE ABBIANO FREQUENTATO, CON ESITO POSITIVO, UN CORSO ANNUALE INTEGRATIVO, DA ORGANIZZARSI DAI PROVVEDITORATI AGLI STUDI, IN OGNI PROVINCIA, SOTTO LA RESPONSABILITÀ DIDATTICA E SCIENTIFICA DELLE UNIVERSITÀ, SULLA BASE DI DISPOSIZIONI CHE VERRANNO IMPARTITE DAL MINISTRO PER LA PUBBLICA ISTRUZIONE...

locust

la liberalizzazione degli accessi all'università era (già!) stata avviata fin dall'anno accademico 1967/1968 ma ORA diveniva Legge dello Stato.

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per prevenire qualsiasi tentativo di arginare ope legis il rilascio dei permessi di soggiorno agli studenti (?) stranieri, (già!) accecati i servizi segreti con la morte del colonnello Renzo Rocca il 27 giugno del 1968, aveva ORA inizio la "strategia della tensione", "strage di stato", "stragismo fascista" e via dicendo.

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d'altra parte, per consentire un agevole rinnovo dei permessi di soggiorno, strettamente vincolato al profitto nello studio, era (già!) iniziata nel 1967 la "contestazione globale" col suo retaggio di esami collettivi imposti dalla PIAZZA: non intendo qui riferirmi al variegato movimento intellettuale che trovò la sua espressione in quegli anni bensì ad un nucleo (Molecola...) di scarso peso numerico ma opportunamente diffuso nel paese, professionalmente organizzato, in grado di determinare gli eventi in circostanze e sedi diverse (assemblee, cortei, scontri, aggressioni, incursioni...), non disgiunto infine da chiunque reggesse le fila dell'ordito.

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Esclusa sempre e comunque la possibilità di proclamare lo stato d'assedio -ahi, Signor Ministro Facta! a dispetto dell'afa cocente di quel 14 luglio 1964, era tornato pur vivo il ricordo dei giorni di luglio 1948 e 1960- l'ultima risorsa era il progetto politico di una grande coalizione sociale concertata da uomini dotati di un'autorità carismatica: Enrico Berlinguer e Aldo Moro...



...ma, dopo due guerre mondiali e ciò che ne era seguito, esisteva ancora la NAZIONE italiana? ovvero, quale continuità esisteva fra gli abitanti del momento e i popoli che poco più di un secolo prima si erano autoaffermati come nazione costituita in UNO stato libero, sovrano e indipendente? quante città morte popolate, se così si può dire, solo da studenti (?) e avventizi (!) accomunati da un camaleontico, forzato mimetismo culturale oltre che linguistico! in una parola, chi comandava veramente?

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The sun is setting. Glorious! Magnificent! The sun is setting and they are going to rise. It's in the order of things.

"The Fearless Vampire Killers or: Pardon Me, But Your Teeth Are in My Neck" (Roman Polanski, 1967)

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Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d'una bicocca, sulla cima d'uno de' poggi ond'è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l'anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condizione e de' costumi del paese. Dando un'occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa. La gente che vi s'incontrava erano omacci tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in una reticella; vecchi che, perdute le zanne, parevan sempre pronti, chi nulla gli aizzasse, a digrignar le gengive; donne con certe facce maschie, e con certe braccia nerborute, buone da venire in aiuto della lingua, quando questa non bastasse: ne' sembianti e nelle mosse de' fanciulli stessi, che giocavan per la strada, si vedeva un non so che di petulante e di provocativo.

PROMESSI SPOSI (V, 92-108)

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"viva chi regna!" si dice talvolta... prima o poi, le masse e chiunque le abbia governate finiscono insieme nel cestino della storia. da lì, chi riciclato e chi no.

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- Addio, Tonno.
- Addio, burattino; e buona fortuna.
- Dove ci rivedremo?...
- Chi lo sa?... è meglio non pensarci neppure!

Le avventure di Pinocchio - Storia di un burattino di Carlo Collodi (Pinocchio, gettato in mare, è mangiato dai pesci e ritorna ad essere un burattino come prima; ma mentre nuota per salvarsi, è ingoiato dal terribile Pesce-cane.)

Dama con Liocorno, Raffaello Sanzio

le elezioni del 1975 sancirono il SORPASSO della classe politica (già protagonista dell'Assemblea Costituente -l'arco costituzionale!- sarà lasciata furbescamente al proprio posto -nowhere!- fino a "mani pulite") compiuto dalle amministrazioni locali (chiamiamole ancora così! sin dall'ultimo dopoguerra si rimpolpava localmente la consistenza numerica dell'elettorato con robuste, pianificate transumanze; cfr.: movimenti di lotta per la casa) e il successo del pacchetto "tutto compreso" offerto da quest'ultime (LAVORO + CASA + FAMIGLIA = ASSOLUTA OBBEDIENZA) nel ripopolamento della vasta, desolata, disabitata provincia (e non solo) italiana.
una PROVA D'ORCHESTRA molto importante...

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L'ultimatum ad Aldo Moro fu letteralmente una presa in giro. In particolare, ricordo Todo Modo di Elio Petri e la virulenta campagna giornalistica (Lino Jannuzzi e altri) condotta su Tempo, una testata settimanale riesumata per l'occasione.
Valga per gli intellettuali come per noialtri giovani (allora!) di poco sale in zucca (personalmente, tuttora!) il beneficio delle migliori intenzioni...

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La sua vita era stata di guerra, e considerava vile e cieco chi rifiutasse questo suo universo di ferro. Era venuto il Lager per entrambi: io lo avevo percepito come un mostruoso stravolgimento, una anomalia laida della mia storia e della storia del mondo; lui, come una triste conferma di cose notorie. "Guerra è sempre", l'uomo è lupo all'uomo: vecchia storia. Dei suoi due anni di Auschwitz non mi parlò mai.

LA TREGUA (Il greco) di Primo Levi

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Gli domandò: "Qual è il tuo nome?". Gli rispose: "Legione è il mio nome, poiché siamo molti".

MARCO 5,9


Ma la prima, l'unica persona che vide, fu un'altra donna, distante forse un venti passi; la quale, con un viso ch'esprimeva terrore, odio, impazienza e malizia, con cert'occhi stravolti che volevano insieme guardar lui, e guardar lontano, spalancando la bocca come in atto di gridare a più non posso, ma rattenendo anche il respiro, alzando due braccia scarne, allungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa d'artigli, come se cercasse d'acchiappar qualcosa, si vedeva che voleva chiamar gente, in modo che qualcheduno non se n'accorgesse. Quando s'incontrarono a guardarsi, colei, fattasi ancor più brutta, si riscosse come persona sorpresa.
- Che diamine...? - cominciava Renzo, alzando anche lui le mani verso la donna; ma questa, perduta la speranza di poterlo far cogliere all'improvviso, lasciò scappare il grido che aveva rattenuto fin allora: - l'untore! dàgli! dàgli! dàgli all'untore!

PROMESSI SPOSI (XXXIV, 402-415)

BIRDS

da qui, "anni di piombo" coniugati a "stragismo fascista" e massacri di mafia -e quant'altro ancora!- per chi, magistrato, poliziotto, giornalista, funzionario, professionista, politico, sindacalista, illuso, non fosse in linea col nuovo ordine. chi c'è, c'è... chi non c'è, non c'è... senza scherzi!

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Così, ne' pubblici infortuni, e nelle lunghe perturbazioni di quel qual si sia ordine consueto, si vede sempre un aumento, una sublimazione di virtù; ma, pur troppo, non manca mai insieme un aumento, e d'ordinario ben più generale, di perversità. E questo pure fu segnalato. I birboni che la peste risparmiava e non atterriva, trovarono nella confusion comune, nel rilasciamento d'ogni forza pubblica, una nuova occasione d'attività, e una nuova sicurezza d'impunità a un tempo. Che anzi, l'uso della forza pubblica stessa venne a trovarsi in gran parte nelle mani de' peggiori tra loro. All'impiego di monatti e d'apparitori non s'adattavano generalmente che uomini sui quali l'attrattiva delle rapine e della licenza potesse più che il terror del contagio, che ogni naturale ribrezzo. Erano a costoro prescritte strettissime regole, intimate severissime pene, assegnati posti, dati per superiori de' commissari, come abbiam detto; sopra questi e quelli eran delegati in ogni quartiere, magistrati e nobili, con l'autorità di provveder sommariamente a ogni occorrenza di buon governo. Un tal ordin di cose camminò, e fece effetto, fino a un certo tempo; ma, crescendo, ogni giorno, il numero di quelli che morivano, di quelli che andavan via, di quelli che perdevan la testa, venner coloro a non aver quasi più nessuno che li tenesse a freno; si fecero, i monatti principalmente, arbitri d'ogni cosa. Entravano da padroni, da nemici nelle case, e, senza parlar de' rubamenti, e come trattavano gl'infelici ridotti dalla peste a passar per tali mani, le mettevano, quelle mani infette e scellerate, sui sani, figliuoli, parenti, mogli, mariti, minacciando di strascinarli al lazzeretto, se non si riscattavano, o non venivano riscattati con danari. Altre volte, mettevano a prezzo i loro servizi, ricusando di portar via i cadaveri già putrefatti, a meno di tanti scudi. Si disse (e tra la leggerezza degli uni e la malvagità degli altri, è ugualmente malsicuro il credere e il non credere), si disse, e l'afferma anche il Tadino (Pag. 102.), che monatti e apparitori lasciassero cadere apposta dai carri robe infette, per propagare e mantenere la pestilenza, divenuta per essi un'entrata, un regno, una festa. Altri sciagurati, fingendosi monatti, portando un campanello attaccato a un piede, com'era prescritto a quelli, per distintivo e per avviso del loro avvicinarsi, s'introducevano nelle case a farne di tutte le sorte. In alcune, aperte e vote d'abitanti, o abitate soltanto da qualche languente, da qualche moribondo, entravan ladri, a man salva, a saccheggiare: altre venivan sorprese, invase da birri che facevan lo stesso, e anche cose peggiori.
Del pari con la perversità, crebbe la pazzia: tutti gli errori già dominanti più o meno, presero dallo sbalordimento, e dall'agitazione delle menti, una forza straordinaria, produssero effetti più rapidi e più vasti. E tutti servirono a rinforzare e a ingrandire quella paura speciale dell'unzioni, la quale, ne' suoi effetti, ne' suoi sfoghi, era spesso, come abbiam veduto, un'altra perversità. L'immagine di quel supposto pericolo assediava e martirizzava gli animi, molto più che il pericolo reale e presente. "E mentre, - dice il Ripamonti, - i cadaveri sparsi, o i mucchi di cadaveri, sempre davanti agli occhi, sempre tra' piedi, facevano della città tutta come un solo mortorio, c'era qualcosa di più brutto, di più funesto, in quell'accanimento vicendevole, in quella sfrenatezza e mostruosità di sospetti... Non del vicino soltanto si prendeva ombra, dell'amico, dell'ospite; ma que' nomi, que' vincoli dell'umana carità, marito e moglie, padre e figlio, fratello e fratello, eran di terrore: e, cosa orribile e indegna a dirsi! la mensa domestica, il letto nuziale, si temevano, come agguati, come nascondigli di venefizio".
La vastità immaginata, la stranezza della trama turbavan tutti i giudizi, alteravan tutte le ragioni della fiducia reciproca. Da principio, si credeva soltanto che quei supposti untori fosser mossi dall'ambizione e dalla cupidigia; andando avanti, si sognò, si credette che ci fosse una non so quale voluttà diabolica in quell'ungere, un'attrattiva che dominasse le volontà. I vaneggiamenti degl'infermi che accusavan se stessi di ciò che avevan temuto dagli altri, parevano rivelazioni, e rendevano ogni cosa, per dir così, credibile d'ognuno. E più delle parole, dovevan far colpo le dimostrazioni, se accadeva che appestati in delirio andasser facendo di quegli atti che s'erano figurati che dovessero fare gli untori: cosa insieme molto probabile, e atta a dar miglior ragione della persuasion generale e dell'affermazioni di molti scrittori. Così, nel lungo e tristo periodo de' processi per stregoneria, le confessioni, non sempre estorte, degl'imputati, non serviron poco a promovere e a mantener l'opinione che regnava intorno ad essa: ché, quando un'opinione regna per lungo tempo, e in una buona parte del mondo, finisce a esprimersi in tutte le maniere, a tentar tutte l'uscite, a scorrer per tutti i gradi della persuasione; ed è difficile che tutti o moltissimi credano a lungo che una cosa strana si faccia, senza che venga alcuno il quale creda di farla.

PROMESSI SPOSI, Cap. XXXII (288-352)

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la parola 'mafia' viene qui usata con qualche riserva (stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus) dal momento che il banditismo (o brigantaggio) subiva allora, come e quanto la residua popolazione di origine italiana, un cruento processo di trasformazione. tuttavia, al contrario di tante sigle degli "anni di piombo" (pistoleri professionisti o altro + illusi = sicuri sulla cresta dell'onda i primi e sommersi i secondi), essa ha comunque una base materiale.
due considerazioni ricorrenti nel corso di antropologia culturale tenuto dal Prof. Seppilli a Lettere di Firenze nell'a.a. 1972/1973 (...e alcune divagazioni personali come tutto il blog):
1. lo sviluppo della mafia attraverso i secoli denota la sua collocazione funzionale nel disegno concepito dalla classe dirigente o CAPITALISMO che dir si voglia [...usurpazione di potere legislativo, esecutivo, giudiziario e qualsiasi altro mezzo per aggregare masse di affidabili e sfollare il resto in conformità del nuovo assetto produttivo;

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fin da prima dell'unità d'italia a tutt'oggi, controllo esclusivo del crinale appenninico (la più celere e sicura via di comunicazione) esercitato da famiglie influenti con un'ininterrotta azione di pattugliamento; particolarmente in auge nelle more dell'unificazione, la classe dei suoi viaggiatori contribuì non poco a diffondere fra i contadini un senso di sfiducia quando non di pura avversione nei confronti della medesima;

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i moti di PIAZZA del 1898 e l'assassinio di Umberto I nel 1900 spartiacque della storia d'Italia, nuovo ruolo politico della regina madre (Die lustige Witwe, 1905, LA VEDOVA ALLEGRA di Ferenc Lehár) a fronte dell'incerta permanenza della casa Savoia sul trono di cactus del neonato regno d'italia; dopo la fine del primo conflitto mondiale, inasprimento dell'aggressione ai popoli d'italia... ampie infiltrazioni di popolo dai paesi dell'est europeo attraverso il Montenegro (cfr.: MINNIE LA CANDIDA di Massimo Bontempelli, 1927; Pygmalion di George Bernard Shaw, 1913; cfr.: Zhejiang) soprattutto nelle campagne, dopo il primo conflitto mondiale (cfr.: il contadino colpito da insolazione che svegliandosi in istato confusionale parlava in greco antico o almeno così si disse); know how derivante dall'impiego bellico dell'iprite e impennata di malattie cancerose e TBC (ostruzione ricorrente degli scarichi domestici senza un motivo palese); cfr.: Spagna, 1981 (morìa da polmonite aspecifica, circa 200 morti accertati, non venne mai dimostrato che fosse stata diretta conseguenza del consumo d'olio d'oliva adulterato); inibizione procurata del sonno profondo; non c'entra nulla ma vorrei ricordare il genocidio dei neri d'America (U.S.A.) -droga, guerre fra bande e quant'altro: la meglio gioventù nel tritacarne della storia- prontamente rimpiazzati da neri d'Africa (cfr.: Malcolm X vs. Elijah Muhammad e Louis Farrakhan fino al 21 febbraio 1965);

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dislocamento strategico delle famiglie di campieri nella penisola; dal 1979, camere della morte situate per lo più in edifici dismessi e lupara bianca: tanti i cani abbandonati quanti i padroni scomparsi nell'acido solforico e conseguente apertura di voragini in pieno centro cittadino; le esalazioni dell'acido ben si amalgamano col mix tipico delle fogne; segni inequivocabili di sofferenza delle piante messe a dimora; per il resto, la frontiera è aperta in ambo i sensi a chiunque non abbia pendente la misura del ritiro immediato e definitivo dalla circolazione];

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2. l'efficacia dell'azione rivoluzionaria di A contro B è inversamente proporzionale alla somma dei valori (stat rosa pristina nomine...) nei quali entrambi possano riconoscersi (...negazione sistematica della natura umana del nemico; ...eroi e criminali di guerra; ... l'uomo è una corda tesa fra la scimmia e il superuomo FN... inaudito?! editoriale del direttore di EPOCA nel primo numero pubblicato dopo Piazza Fontana; ...tanta pervicacia in vista di che COSA?).


Figlio mio, se ti sei fatto garante per il tuo prossimo,
per uno straniero hai stretto la tua mano;
ti sei fatto irretire dalla parola delle tue labbra,
ti sei lasciato catturare dai detti della tua bocca;
fa' così, figlio mio, e sarai libero,
giacché sei caduto nella mano del tuo prossimo:
va', inginocchiati e importuna i tuoi vicini.
Non concedere sonno ai tuoi occhi,
né assopimento alle tue palpebre.
Lìberati, come gazzella, dalla sua mano,
come uccello dalla mano del cacciatore.

PROVERBI (VI, 1-5)

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in ultimo, il tentativo condotto al limite dell'impossibile da Bettino Craxi, platealmente ignorato coll'avvio dei primi sbarchi di clandestini (reclutamento, addestramento -cito l'INTIFADA e le RIVOLUZIONI DELLE BANDIERE BUCATE- e soprattutto SOLDO erano in corso all'epoca da oltre un decennio -"OLIVER'S ARMY" canta Elvis Costello attualizzando l'Oliver Twist di Charles Dickens; cfr: "Charlie and the chocolate factory" scritto da Roald Dahl nel 1964; "Willy Wonka & the Chocolate Factory" diretto da Mel Stuart nel 1971- per compattare un'armata di proporzioni mai viste prima d'allora nella storia umana e ragguardevoli anche nella storia naturale; la selezione degli AFFIDABILI, decisa prima della partenza, avveniva di fatto nel corso del viaggio [Kater I Radesh il 28 marzo 1997 ecc.]; per inciso, un ostacolo non trascurabile alla piena attuazione del progetto sarebbe potuto derivare dalla presenza politica di Yasser Arafat, la destituzione del quale però era già stata preannunciata dalla scomparsa dei due giornalisti, il 2 settembre 1980, Graziella De Palo e Italo Toni [p.s. "una spia viene condannata alla fucilazione in tutto il mondo" sentenzia papale 'lya' Rosa nell'intervista pubblicata da La Storia Siamo Noi ne "Il caso Toni - De Palo ~ Un mistero di Stato" il 22/10/2008], sancita quindi dal sequestro dell'Achille Lauro nel corso del quale trovò la morte Leon Klinghoffer l'8 ottobre 1985 e dall'incursione terroristica nell'aeroporto Leonardo da Vinci di Roma Fiumicino il 27 dicembre 1985; l'OLP di Arafat si andava dissolvendo e la classe politica italiana, a Sigonella e dopo, tamponò al meglio una situazione che volgeva decisamente al peggio; fino al 1989, era rimasto attivo in barba alla vigilanza della Banca d'Italia -grazie Ciampi!- un canale di FINANZIAMENTI per il tramite della filiale di ATLANTA della BANCA NAZIONALE DEL LAVORO destinati nominalmente all'Iraq di Saddam Hussein per la realizzazione di un fantomatico pezzo d'artiglieria -il "super" cannone!- o più verosimilmente destinati di fatto al mantenimento della singolare ARMATA), fermato dalla morte di Giovanni Falcone il 23 maggio e Paolo Borsellino il 19 luglio 1992, spazzato via insieme alla classe politica del tempo -non disponibile all'incondizionata accoglienza dei nuovi, SCELTI italiani!- da una vasta congiura mascherata dal TOGA-PARTY di "mani pulite".

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Ci furon però di quelli che pensarono fino alla fine, e fin che vissero, che tutto fosse immaginazione: e lo sappiamo, non da loro, ché nessuno fu abbastanza ardito per esporre al pubblico un sentimento così opposto a quello del pubblico; lo sappiamo dagli scrittori che lo deridono o lo riprendono o lo ribattono, come un pregiudizio d'alcuni, un errore che non s'attentava di venire a disputa palese, ma che pur viveva; lo sappiamo anche da chi ne aveva notizia per tradizione. "Ho trovato gente savia in Milano, - dice il buon Muratori, nel luogo sopraccitato, - che aveva buone relazioni dai loro maggiori, e non era molto persuasa che fosse vero il fatto di quegli unti velenosi". Si vede ch'era uno sfogo segreto della verità, una confidenza domestica: il buon senso c'era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune.

PROMESSI SPOSI, Cap. XXXII (434-444)

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...e se la congiura fosse fallita, se la NATO fosse stata allertata dalla situazione italiana e fosse intervenuta per impedirne la progressiva libanizzazione... chi sa?
nessuno dei protagonisti di questa storia è morto di vecchiaia.

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[Libanizzazione: propongo questo paragone col martoriato Libano pensando alla caratteristica fondamentale della sua condizione da molti anni a questa parte, quella cioè di paese acquistato "pagamento sull'unghia e chiavi in mano" da un ente di qualsivoglia natura, in grado coi propri mezzi di provvedere organizzativamente e finanziariamente alle pubbliche necessità sollevandone le istituzioni preposte insieme a tutto l'apparato amministrativo e perseguendo finalità diverse da quelle dichiarate nell'atto costitutivo ancora formalmente vigente.

Un piccolo volger d'occhio o ci fa esser col sole, o coll'ombra del corpo nostro. Chi drizza lo sguardo al sole, ivi truova la luce, ma chi all'ombra si volta, necessariamente trova le tenebre. Pertanto malvagio è il diavolo? perchè ha dentro di se ammessa volontariamente la malvagità, e non già perchè in lui natura sia direttamente opposta al bene. Ma e la guerra ch'egli ha con noi, donde è venuta? Di qui, perchè ricettacolo essendo d'ogni nequizia, anco il mal dell'invidia in se accolse... :: Omelie Scelte di San Basilio Magno tradotte dal greco nell'idioma toscano da Angiol Maria Ricci (1732), Omelia Quinta ::

non c'entra nulla ma lo voglio dire: per pigrizia, molto spesso usiamo parole come "paese", "stato" ecc. anche quando il termine corretto sarebbe "territorio", privo di popolo e mal colonizzato. in simil territorio, base logistica di ogni congiura od atto di terrorismo e prima causa di forte instabilità nello scacchiere mondiale, qualunque stato sovrano potrebbe per la propria e l'altrui sicurezza vantare il buon diritto di ripristinare la civile convivenza applicando la legge marziale.]


Il resto del verme l'ha divorato la locusta,
il resto della locusta l'ha divorato il bruco
e il resto del bruco l'ha divorato la cavalletta.

GIOELE 1,4

locust

Per quanto un re possa essere e assoluto e perverso, non potrebbe però nei tempi moderni, con tutti i mezzi, di soldati cambiati in sgherri, di tribunali servili e svergognati, di birri e di spie, diffondere e, direi quasi, distribuire in ogni parte di un vasto Stato uno sgomento che occupi tutti gli animi, un sospetto che regoli tutti gli atti, e tener sempre presente alle menti l'immagine del patibolo. Una combriccola arrivata al potere e avente in ogni città, in ogni borgo, in ogni villaggio una clientela di soggetti capaci di tutto, padroni dei municipi, e investiti di attribuzioni più ampie e speditive, risoluti e vigilanti; nel mantenere la tirannia generale, come il mezzo di esercitare al minuto la loro; una tale combriccola, dico, lo poteva fare, e lo fece. E (ciò che le fu di un grande aiuto e che manca ai tiranni principi) lo fece parlando sempre di libertà.

LA RIVOLUZIONE FRANCESE di Alessandro Manzoni (cap. VII)

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L'oste rispose a Renzo, che sarebbe servito; e questo si mise a sedere in fondo della tavola, vicino all'uscio: il posto de' vergognosi.
C'erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i quali, dopo aver discusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno avanti, si struggevano di sapere un poco come fosse andata anche in quel giorno; tanto più che quelle prime eran più atte a stuzzicar la curiosità, che a soddisfarla: una sollevazione, né soggiogata né vittoriosa, sospesa più che terminata dalla notte; una cosa tronca, la fine d'un atto piuttosto che d'un dramma. Un di coloro si staccò dalla brigata, s'accostò al soprarrivato, e gli domandò se veniva da Milano.
- Io? - disse Renzo sorpreso, per prender tempo a rispondere.
- Voi, se la domanda è lecita.
Renzo, tentennando il capo, stringendo le labbra, e facendone uscire un suono inarticolato, disse: - Milano, da quel che ho sentito dire... non dev'essere un luogo da andarci in questi momenti, meno che per una gran necessità.
- Continua dunque anche oggi il fracasso? - domandò, con più istanza, il curioso.
- Bisognerebbe esser là, per saperlo, - disse Renzo.
- Ma voi, non venite da Milano?
- Vengo da Liscate, - rispose lesto il giovine, che intanto aveva pensata la sua risposta. Ne veniva in fatti, a rigor di termini, perché c'era passato; e il nome l'aveva saputo, a un certo punto della strada, da un viandante che gli aveva indicato quel paese come il primo che doveva attraversare, per arrivare a Gorgonzola.
- Oh! - disse l'amico; come se volesse dire: faresti meglio a venir da Milano, ma pazienza. - E a Liscate, - soggiunse, - non si sapeva niente di Milano?
- Potrebb'essere benissimo che qualcheduno là sapesse qualche cosa, - rispose il montanaro: - ma io non ho sentito dir nulla.
E queste parole le proferì in quella maniera particolare che par che voglia dire: ho finito. Il curioso ritornò al suo posto; e, un momento dopo, l'oste venne a mettere in tavola.

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- Quanto c'è di qui all'Adda? - gli disse Renzo, mezzo tra' denti, con un fare da addormentato, che gli abbiam visto qualche altra volta.
- All'Adda, per passare? - disse l'oste.
- Cioè... sì... all'Adda.
- Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di Canonica?
- Dove si sia... Domando così per curiosità.
- Eh, volevo dire, perché quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che può dar conto di sé.
- Va bene: e quanto c'è?
- Fate conto che, tanto a un luogo, come all'altro, poco più, poco meno, ci sarà sei miglia.
- Sei miglia! non credevo tanto, - disse Renzo. - E già, - e già, chi avesse bisogno di prendere una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare?
- Ce n'è sicuro, - rispose l'oste, ficcandogli in viso due occhi pieni d'una curiosità maliziosa. Bastò questo per far morir tra' denti al giovine l'altre domande che aveva preparate. Si tirò davanti il piatto; e guardando la mezzetta che l'oste aveva posata, insieme con quello, sulla tavola, disse: - il vino è sincero?
Come l'oro, - disse l'oste: - domandatene pure a tutta la gente del paese e del contorno, che se n'intende: e poi, lo sentirete -. E così dicendo, tornò verso la brigata.

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"Maledetti gli osti!" esclamò Renzo tra sé: "più ne conosco, peggio li trovo". Non ostante, si mise a mangiare con grand'appetito, stando, nello stesso tempo, in orecchi, senza che paresse suo fatto, per veder di scoprir paese, di rilevare come si pensasse colà sul grand'avvenimento nel quale egli aveva avuta non piccola parte, e d'osservare specialmente se, tra que' parlatori, ci fosse qualche galantuomo, a cui un povero figliuolo potesse fidarsi di domandar la strada, senza timore d'esser messo alle strette, e forzato a ciarlare de' fatti suoi.
- Ma! - diceva uno: - questa volta par proprio che i milanesi abbian voluto far davvero. Basta; domani al più tardi, si saprà qualcosa.
- Mi pento di non esser andato a Milano stamattina, - diceva un altro.
- Se vai domani, vengo anch'io, - disse un terzo; poi un altro, poi un altro.
- Quel che vorrei sapere, - riprese il primo, - è se que' signori di Milano penseranno anche alla povera gente di campagna, o se faranno far la legge buona solamente per loro. Sapete come sono eh? Cittadini superbi, tutto per loro: gli altri, come se non ci fossero.
- La bocca l'abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per dir la nostra ragione, - disse un altro, con voce tanto più modesta, quanto più la proposizione era avanzata: - e quando la cosa sia incamminata... - Ma credette meglio di non finir la frase.
- Del grano nascosto, non ce n'è solamente in Milano, - cominciava un altro, con un'aria cupa e maliziosa; quando sentono avvicinarsi un cavallo. Corron tutti all'uscio; e, riconosciuto colui che arrivava, gli vanno incontro. Era un mercante di Milano, che, andando più volte l'anno a Bergamo, per i suoi traffichi, era solito passar la notte in quell'osteria; e siccome ci trovava quasi sempre la stessa compagnia, li conosceva tutti. Gli s'affollano intorno; uno prende la briglia, un altro la staffa. - Ben arrivato, ben arrivato!

PROMESSI SPOSI (cap. XVI)

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I tuoi uomini cadranno di spada
ed i tuoi prodi in combattimento.

ISAIA (3, 25)

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Morti a quell'ora forse i due terzi de' cittadini, andati via o ammalati una buona parte del resto, ridotto quasi a nulla il concorso della gente di fuori, de' pochi che andavan per le strade, non se ne sarebbe per avventura, in un lungo giro, incontrato uno solo in cui non si vedesse qualcosa di strano, e che dava indizio d'una funesta mutazione di cose. Si vedevano gli uomini più qualificati, senza cappa né mantello, parte allora essenzialissima del vestiario civile; senza sottana i preti, e anche de' religiosi in farsetto; dismessa in somma ogni sorte di vestito che potesse con gli svolazzi toccar qualche cosa, o dare (ciò che si temeva più di tutto il resto) agio agli untori. E fuor di questa cura d'andar succinti e ristretti il più che fosse possibile, negletta e trasandata ogni persona; lunghe le barbe di quelli che usavan portarle, cresciute a quelli che prima costumavan di raderle; lunghe pure e arruffate le capigliature, non solo per quella trascuranza che nasce da un invecchiato abbattimento, ma per esser divenuti sospetti i barbieri, da che era stato preso e condannato, come untor famoso, uno di loro, Giangiacomo Mora: nome che, per un pezzo, conservò una celebrità municipale d'infamia, e ne meriterebbe una ben più diffusa e perenne di pietà. I più tenevano da una mano un bastone, alcuni anche una pistola, per avvertimento minaccioso a chi avesse voluto avvicinarsi troppo; dall'altra pasticche odorose, o palle di metallo o di legno traforate, con dentro spugne inzuppate d'aceti medicati; e se le andavano ogni tanto mettendo al naso, o ce le tenevano di continuo. Portavano alcuni attaccata al collo una boccetta con dentro un po' d'argento vivo, persuasi che avesse la virtù d'assorbire e di ritenere ogni esalazione pestilenziale; e avevan poi cura di rinnovarlo ogni tanti giorni. I gentiluomini, non solo uscivano senza il solito seguito, ma si vedevano, con una sporta in braccio, andare a comprar le cose necessarie al vitto. Gli amici, quando pur due s'incontrassero per la strada, si salutavan da lontano, con cenni taciti e frettolosi. Ognuno, camminando, aveva molto da fare, per iscansare gli schifosi e mortiferi inciampi di cui il terreno era sparso e, in qualche luogo, anche affatto ingombro: ognuno cercava di stare in mezzo alla strada, per timore d'altro sudiciume, o d'altro più funesto peso che potesse venir giù dalle finestre; per timore delle polveri venefiche che si diceva esser spesso buttate da quelle su' passeggieri; per timore delle muraglie, che potevan esser unte. Così l'ignoranza, coraggiosa e guardinga alla rovescia, aggiungeva ora angustie all'angustie, e dava falsi terrori, in compenso de' ragionevoli e salutari che aveva levati da principio.
Tal era ciò che di meno deforme e di men compassionevole si faceva vedere intorno, i sani, gli agiati: ché, dopo tante immagini di miseria, e pensando a quella ancor più grave, per mezzo alla quale dovrem condurre il lettore, non ci fermeremo ora a dir qual fosse lo spettacolo degli appestati che si strascicavano o giacevano per le strade, de' poveri, de' fanciulli, delle donne. Era tale, che il riguardante poteva trovar quasi un disperato conforto in ciò che ai lontani e ai posteri fa la più forte e dolorosa impressione; nel pensare, dico, nel vedere quanto que' viventi fossero ridotti a pochi.

PROMESSI SPOSI, Cap. XXXIV (239-280)

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quale utilità? per chi? chi vince?

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